Il teatro e la morte

Il teatro e la morte Il funerale del padrone di Davide Fo

Il teatro e la morte: Il funerale del padrone di Dario Fo; è molto probabile che la prima opera d’arte umana, ancor prima delle conosciute pitture rupestri del neolitico, sia stata un’opera teatrale.

“Nelle città di oggi il solo luogo in cui si potrebbe costruire un teatro è in fondo a un cimitero, alla periferia della città e tra i defunti, cioè tra la vita e la morte. Immerso nel silenzio, ma con gli spettatori che dovranno passare tra le tombe per entrare e per uscire. La morte sarebbe al tempo stesso più vicina e più lieve, e il teatro più solenne.”

-Jean Genet

Il teatro e la morte: Il funerale del padrone di Dario Fo

Nello specifico parliamo di quel rito orgiastico, raffigurato sulle pareti delle grotte preistoriche, con il quale il cacciatore, vestendo le pelli dell’animale che deve cacciare, ne imita i gesti, le posture, per poterlo avvicinare con più facilità, non risultare un pericolo, e dunque catturarlo.

Pitture di questo tipo si possono ammirare nella Grotte di Altamira in Spagna o quella dei Trois Frères in Francia.

Il teatro, dunque, è una forma basica di espressione artistica, comune a tutte le altre, senza dubbio la più antica.

L’arte del teatro e quella dell’attore in particolare, non fanno che portare al più alto grado di potenza d’espressione le risorse dei soli strumenti che l’uomo non abbia dovuto inventare per fare arte: il corpo e la voce.

Secondo Aristofane il teatro può colmare i vuoti e salutare chi scompare.

Qual è dunque il rapporto fra morte e teatro?

Di tutte le arti, l’arte drammatica è quella più mescolata con la trama della nostra vita.

È vita in atto, messa sotto gli occhi dell’uomo che così si contempla e afferra il senso del proprio agire, del proprio patire, del proprio essere.

Il teatro si apparenta, nelle sue origini, al rito sacro, dove il termine sacer sta ad indicare lo spazio separato, ritagliato, della rappresentazione drammatica, che si distacca dalla realtà quotidiana per riprodurla, imitarla all’infinito.

Nei riti funebri si mette in scena (ancora oggi) la storia del defunto, se ne rievoca la memoria, se ne imita in qualche modo la vita, per trattenerla con noi.

Al rito funebre, che celebra e allontana la morte, si associa poi il rito orgiastico che è il corrispettivo parallelo del rito funebre, sin dall’antichità.

Ma non è la prima forma di teatro, bensì il punto di approdo di un millenario percorso di ritualità scenica, che tiene insieme la bellezza, la vita e la morte.

Mi viene in mente lo spettacolo teatrale Il funerale del padrone, testo del Premio Nobel Dario Fo.

Il funerale del padrone

La vicenda narra degli operai di una fabbrica all’indomani dell’occupazione.

Mentre uno stravagante commissario ne ordina lo sgombero, gli scioperanti architettano una messinscena per attirare l’attenzione dei passanti e sensibilizzarli sulle ragioni delle rimostranze.

Recuperando degli abiti in prestito, gli operai decidono di rappresentare, in una farsa, il funerale del padrone.

In un prodigioso esempio di come il parallelismo tra il rito orgiastico e quello funebre si fondano.

Dando vita ad uno straordinario esempio di teatro nel teatro.

Il punto più alto della farsa, quello in cui si decide di sacrificare un operaio per far quadrare i bilanci annuali degli incidenti sul lavoro, sbugiarda il gioco.

Il cerchio sarà chiuso quando si chiuderà il sipario: a chi sarà fatto il funerale? Al padrone o all’operaio?

E se i ruoli si scambiassero per un attimo, per una sorte bizzarra e circense, e si facesse il funerale al padrone vero, all’unico proprietario del proprio lavoro e della propria vita?

Il Funerale del Padrone è leggero, impertinente, irriverente; è una satira pungente ma anche un testo impegnato.

Ci insegna che un rito di passaggio che muta a seconda dei luoghi e dei momenti non perde la sua centralità nell’identità di un popolo.

E raccontando la morte in realtà racconta la visione della vita.

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